2025/06/02
198. La testimonianza dell'Apocalisse, che profetizzò in modo sequenziale la formazione del Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli ed Epistole di Paolo)
Sulla base dell’idea che nella rivelazione dell’Apocalisse l’apertura dei sette sigilli rappresenti una profezia della formazione del Nuovo Testamento, ho deciso di esaminare in dettaglio ciascuna delle scene. Nella scorsa analisi, abbiamo visto come l’apertura dei primi quattro sigilli profetizzano i quattro Vangeli. Questa volta continueremo ad esaminare il quinto e il sesto sigillo.
La descrizione della rottura del quinto sigillo è una profezia degli Atti degli Apostoli. Questo perché possiamo trovare la risposta alla domanda sollevata da quella descrizione nel sermone di Pietro subito dopo la discesa dello Spirito Santo. L'Apocalisse recita: “Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” (Ap 6,9). L'espressione la “testimonianza che gli avevano reso” si riferisce a ciò che accadde durante l'ultima cena di Gesù: “Pietro gli rispose: 'Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò'. Lo stesso dissero tutti i discepoli” (Mt 26, 35). Tuttavia, quando Gesù fu arrestato nel Giardino del Getsemani a causa del tradimento di Giuda, “tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (26, 56). In seguito, Pietro seguì Gesù a distanza nel cortile del sommo sacerdote, ma quando fu riconosciuto da una serva e accusato di essere con Gesù, lo rinnegò dicendo: “Non conosco quell'uomo!” (cfr. 26, 69-75). Questi eventi accaddero affinché si adempisse la parola di Gesù: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato” (Gv 18, 9), ma i discepoli non sono riusciti ad adempiere la “testimonianza che gli avevano reso”. Solo quando discese lo Spirito Santo essa si adempì. Pertanto, le anime che l’autore dell’Apocalisse “vide sotto l’altare” erano le anime degli Apostoli. “E gridarono a gran voce: 'Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?'” (Ap 6,10). La risposta a questa domanda si trova nel sermone di Pietro subito dopo la discesa dello Spirito Santo negli Atti degli Apostoli (cfr. At 2,22-36). Ciò che era accaduto a Gesù sarebbe accaduto a loro. Hanno “anime” perché sono vivi anche se sono stati uccisi. L’Apocalisse continua: “Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro” (Ap 6,11). Stanno aspettando sotto l'altare, guardando i sacerdoti, i “loro compagni di servizio e dei loro fratelli”, che celebrano oggi la Messa “a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso”, finché il loro numero sarà completo, proprio come loro. Stanno assistendo alla Messa con noi credenti sotto l'altare.
La scena dell'apertura del sesto sigillo profetizza le epistole di Paolo. Questo perché il significato di ciò che è descritto in quella scena è chiarito dalla Lettera ai Romani dell'apostolo Paolo. L'Apocalisse dice: “E vidi, quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi. Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto” (Ap 6,12-14). Questa descrizione è una metafora della conversione di Paolo. Essa avvenne in un modo estremamente intenso ed inimmaginabile sia per lui che per i credenti di Damasco (cfr. Atti 9:1-9). Paolo, convertitosi a Gesù Cristo, era proprio come “Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto” (cfr. 9,10-20). Con l’aiuto di Anania, Paolo fu battezzato e ritrovò le forze. Dimostrò che Gesù era il Messia, gettando nello sconcerto gli altri abitanti di Damasco. Alla fine, essi complottarono per ucciderlo. Paolo raccontò così quell’episodio:“A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani” (2 Cor 11, 32-33). D'altra parte, l'Apocalisse afferma: “Allora i re della terra e i grandi, i generali, i ricchi e i potenti, tutti, schiavi e liberi, si nascosero nelle caverne e tra le rocce delle montagne, gridando alle montagne e alle rocce: ‘Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il grande giorno della loro ira e chi può resistere?’” (Ap 6,15-17). La causa di queste tragedie qui descritte è chiarita dal seguente passo della Lettera di Paolo ai Romani, che possiamo collegare a questo passo dell'Apocalisse attraverso l'espressione “giorno dell'ira”. L'espressione “giorno dell'ira” appare solo in questi due passi del Nuovo Testamento. “Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità. Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio” (Rom 2,1-5).
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